Shlomo Sand – Come fu inventato il popolo ebraico

da Le Monde Diplomatique/Il Manifesto del settembre 2008

Gli ebrei sono un popolo? Vecchio quesito, al quale uno storico israeliano
dà una risposta nuova. Contrariamente a idee preconcette, la diaspora
non nacque dalla cacciata degli ebrei dalla Palestina, ma da successive
migrazioni nell’Africa del nord, nell’Europa meridionale e nel Vicino
Oriente. Un’idea che fa vacillare uno dei fondamenti del pensiero
sionista; secondo il quale gli ebrei sarebbero i discendenti del
regno di Davide e non – che Dio non voglia! – gli eredi di guerrieri
berberi o di cavalieri khazaki.
di Shlomo Sand*

Ogni israeliano sa, senza alcun dubbio, che il popolo ebraico esiste
da quando ha ricevuto la Torah (1) nel Sinai, e che ne è il discendente
diretto ed esclusivo. È convinto che questo popolo, espulso dall’Egitto,
si è insediato nella «terra promessa», dove fu edificato il glorioso
regno di Davide e di Salomone, suddiviso in seguito nei regni di
Giuda e di Israele e che gli ebrei sono stati esiliati due volte:
dopo la distruzione del primo tempio, nel VI secolo prima di Cristo,
e, in seguito a quella del secondo tempio, nell’anno 70 dopo Cristo.
Seguì poi una peregrinazione di quasi due mila anni: anche se le
sue tribolazioni lo portarono nello Yemen, in Marocco, in Spagna,
in Germania, in Polonia e perfino nella profonda Russia, il popolo
ebraico è sempre riuscito a preservare i legami di sangue tra le
lontane comunità, in modo tale che la sua unicità non ha subito alterazioni.
Alla fine del XIX secolo, erano mature le condizioni del suo rientro
nell’antica patria. Senza il genocidio nazista, milioni di ebrei
avrebbero ripopolato naturalmente Eretz Israel («la terra di Israele»),
il loro sogno da venti secoli.
La Palestina, terra vergine, aspettava che il suo popolo arrivasse
a farla rifiorire. Infatti questa terra apparteneva al popolo ebraico
e non a quella minoranza araba, priva di storia, giunta là per caso.
Quindi legittime erano le guerre condotte da quel popolo errante
per riprendersi la sua terra, e criminale l’opposizione violenta
della popolazione locale.
Dove nasce questa interpretazione della storia ebraica? Essa è l’opera,
a partire dalla seconda meta del XIX secolo, di valenti ricostruttori
del passato, la cui fertile fantasia ha inventato, sulla base di
brani di memoria religiosa, ebraica e cristiana, una concatenazione
genealogica ininterrotta per il popolo ebraico. Certo, la ricca storiografia
del giudaismo offre una pluralità di approcci. Ma le polemiche al
suo interno non hanno mai rimesso in questione le idee essenzialistiche
elaborate soprattutto alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX.
Quando apparivano scoperte che rischiavano di contraddire l’immagine
di quel passato lineare, esse non avevano praticamente alcuna risonanza.
Come una morsa solidamente chiusa, l’imperativo nazionale bloccava
ogni tipo di contraddizione e di deviazione dal racconto dominante.
Le istanze specifiche di produzione della conoscenza del passato
ebraico – i dipartimenti dedicati in modo esclusivo alla «storia
del popolo ebraico», separati dai dipartimenti di storia (chiamata
in Israele «storia generale») – hanno ampiamente contribuito a questa
curiosa emiplegia. Persino il dibattito, di carattere giuridico,
sul punto «Chi è ebreo?» non ha destato la preoccupazione degli storici
per i quali è ebreo ogni discendente del popolo costretto all’esilio
duemila anni fa.
Questi ricercatori «autorizzati» del passato non hanno neppure partecipato
alla controversia dei «nuovi storici», aperta alla fine degli anni
’80. La maggior parte dei protagonisti di questo dibattito pubblico
– in numero limitato – apparteneva ad altre discipline o a orizzonti
extra-universitari: sociologi, orientalisti, linguisti, geografi,
specialisti in scienza politica, ricercatori in letteratura, archeologi
elaborarono riflessioni nuove sul passato ebraico e sionista. Tra
di loro c’erano anche ricercatori venuti dall’estero. In compenso,
dai «dipartimenti di storia ebraica», giunsero soltanto echi timidi
e conservatori, rivestiti di una retorica apologetica a base di idee
preconcette.
Il giudaismo, religione di proselitismo
Insomma, in sessant’anni, la storia nazionale è maturata pochissimo,
e verosimilmente non evolverà nel breve periodo. Eppure, i fatti
venuti alla luce con le nuove ricerche pongono a ogni onesto storico
quesiti sorprendenti di primo acchito, ma nondimeno fondamentali.
Si può considerare la Bibbia come un libro di storia? I primi storici
ebrei moderni, come Isaak Markus Jost o Leopold Zunz, nella prima
metà del XIX secolo, non la percepivano come tale: ai loro occhi,
l’Antico Testamento si presentava come un libro di teologia costitutivo
delle comunità religiose ebraiche dopo la distruzione del primo tempio.
Si è dovuto aspettare la seconda metà di questo stesso secolo per
incontrare storici, in primo luogo Heinrich Graetz, portatori di
una visione «nazionale» della Bibbia: essi hanno trasformato la partenza
di Abramo per Canaan, l’espulsione dall’Egitto oppure il regno unificato
di Davide e Salomone in racconti di un passato autenticamente nazionale.
Da allora, gli storici sionisti non hanno smesso di reiterare queste
«verità bibliche», diventate pane quotidiano dell’educazione nazionale.
Ma, negli anni ’80, un terremoto fa vacillare questi miti fondatori.
Le scoperte della «nuova archeologia» contraddicono la possibilità
di un grande esodo nel XIII secolo prima della nostra era. E Mosè
non ha potuto condurre gli ebrei fuori dall’Egitto verso la «terra
promessa», per la semplice ragione che, in quel tempo, la terra promessa
era in mano agli egiziani. Del resto non si trova traccia di una
rivolta di schiavi nell’impero dei faraoni, né di una veloce conquista
del paese di Canaan ad opera di un elemento straniero.
Né esiste segno o ricordo dello sfarzoso regno di Davide e di Salomone.
Le scoperte del decennio scorso attestano l’esistenza, in quel tempo,
di due piccoli regni: Israele, il più potente e Giuda, la futura
Giudea. Neanche gli abitanti della Giudea subirono un esilio nel
VI secolo a.C.: solo le sue élite politiche e intellettuali dovettero
insediarsi a Babilonia. Da questo incontro decisivo con i culti persiani
sarebbe nato il monoteismo ebraico.
L’esilio dell’anno 70 d.C. si è davvero verificato? Paradossalmente,
questo «evento fondatore» nella storia degli ebrei, da cui trae origine
la diaspora, non è stato oggetto di alcun lavoro di ricerca. Questo,
per una ragione molto banale: i romani non hanno mai esiliato alcun
popolo in tutta la sponda orientale del Mediterraneo. Ad eccezione
dei prigionieri ridotti in schiavitù, gli abitanti della Giudea continuarono
a vivere sulle loro terre, persino dopo la distruzione del secondo
tempio.
Parte di essi si convertirono al cristianesimo nel IV secolo, mentre
la grande maggioranza aderì all’islam nel corso della conquista araba
del VII secolo. Quasi tutti gli intellettuali sionisti lo sapevano
perfettamente: Yitzhak Ben Zvi, il futuro presidente dello Stato
di Israele, così come Ben Gourion, fondatore dello Stato, lo hanno
scritto fino al 1929, anno della grande rivolta palestinese. Entrambi
menzionano a più riprese il fatto che i contadini della Palestina
sono i discendenti degli abitanti dell’antica Giudea (2).
Se non c’è stato un esilio dalla Palestina romanizzata, da dove provengono
i numerosi ebrei che vivono intorno al Mediterraneo fin dall’Antichità?
Dietro le quinte della storiografia nazionale si nasconde una sorprendente
realtà storica. Dalla rivolta dei Maccabei, nel II secolo a.C., alla
rivolta di Bar-Kokhba, nel II secolo d.C., il giudaismo fu la prima
religione a mirare al proselitismo. Gli Asmonei avevano in precedenza
convertito con la forza gli Iturei di Galilea annessi al «popolo
di Israele»a partire da questo regno giudeo-ellenico, il giudaismo
si diffuse nell’intero Vicino Oriente sulle sponde del Mediterraneo.
Nel primo secolo d.C., apparve, nell’odierno Kurdistan, il regno
ebraico di Adiabene, che non sarebbe stato l’ultimo regno a «giudaizzarsi»:
altri avrebbero seguito la stessa strada in seguito.
Gli scritti di Giuseppe Flavio non sono l’unica testimonianza dell’ardore
degli ebrei in materia di proselitismo. Da Orazio a Seneca, da Giovenale
a Tacito, molti scrittori latini esprimono questo timore. La Mishna
e il Talmud (3) autorizzano questa pratica della conversione – anche
se, di fronte alla pressione crescente del cristianesimo, i saggi
della tradizione talmudica esprimeranno riserve al riguardo.
Senza porre termine all’espansione del giudaismo, la vittoria della
religione di Gesù, all’inizio del IV secolo, respinge il proselitismo
ebraico ai margini del mondo culturale cristiano. Nel V secolo, sul
territorio dell’attuale Yemen, sorge un regno ebraico forte, chiamato
Himyar, i cui discendenti conserveranno la loro fede dopo la vittoria
dell’islam e fino ai tempi moderni. Peraltro, i cronisti arabi segnalano
l’esistenza, nel VII secolo, di tribù berbere giudaizzate; di fronte
all’avanzata araba, che raggiunge l’Africa del nord alla fine dello
stesso secolo, appare la figura leggendaria della regina ebrea Dihya
zl-Kahna che tentò di arginarla. Berberi giudaizzati parteciperanno
alla conquista della penisola iberica e saranno all’origine della
simbiosi particolare tra ebrei e musulmani, caratteristica della
cultura ispano-araba.
La più significativa conversione di vaste dimensioni si verifica
tra il mar Nero e il mar Caspio: essa riguarda l’immenso regno khazaki,
nell’VIII secolo. L’espansione del giudaismo, dal Caucaso all’attuale
Ucraina, genera numerose comunità che le invasioni mongole del XIII
secolo respingono in massa verso l’est europeo. È in questi luoghi
che, assieme con gli ebrei venuti dalle regioni slave del sud e dagli
odierni territori tedeschi, esse porranno le basi della grande cultura
yiddish (4).
Questi racconti sulle origini plurime degli ebrei si trovano, in
termini più o meno sfocati, nella storiografia sionista fino agli
anni 1960. In seguito, vengono poco a poco marginalizzati prima di
scomparire dalla memoria pubblica in Israele. I conquistatori della
città di Davide, nel 1967, dovevano essere i diretti discendenti
del suo mitico regno e non – che Dio non voglia! – gli eredi di guerrieri
berberi o di cavalieri khazaki. Gli ebrei figurano quindi come un
«ethnos» specifico che, dopo duemila anni di esilio e di erranza,
ritorna infine a Gerusalemme, la sua capitale.
Nascita di una nazione
I fautori di questo racconto lineare e indivisibile non mobilitano
soltanto l’insegnamento della storia: essi chiamano in causa anche
la biologia. Dagli anni ’70, in Israele, una serie di ricerche «scientifiche»
tenta di provare, con ogni mezzo, la prossimità genetica degli ebrei
del mondo intero. La «ricerca sulle origini delle popolazioni» rappresenta
ormai un campo legittimato e popolare della biologia molecolare,
mentre il cromosomo Y maschio figura al posto d’onore accanto a una
Clio ebrea (5) in una ricerca sfrenata dell’unicità di origine del
«popolo eletto».
Questo concetto storico costituisce la base della politica identitaria
dello Stato d’Israele, ed è proprio qui il punto debole! Infatti,
esso conduce a una definizione essenzialista ed etnocentrista del
giudaismo, alimentando una segregazione che separa gli ebrei dai
non-ebrei-arabi come gli immigranti russi o i lavoratori immigrati.
A sessant’anni dalla sua fondazione, Israele rifiuta di concepirsi
come una repubblica che esiste per i suoi cittadini. Quasi un quarto
di essi non è considerato ebreo e, secondo lo spirito delle sue leggi,
questo stato non è il loro. In compenso, Israele si presenta sempre
come lo stato degli ebrei del mondo intero, anche se non si tratta
più di profughi perseguitati, ma di cittadini di pieno diritto che
vivono in piena uguaglianza nei paesi di residenza. In altre parole,
una etnocrazia senza frontiere giustifica la severa discriminazione
che essa pratica nei confronti di parte dei propri cittadini invocando
il mito della nazione eterna ricostituita per riunirsi sulla «terra
degli antenati».
Scrivere una storia ebraica nuova, che superi il prisma sionista,
non è quindi un compito facile. La luce che s’infrange sul prisma
assume forti tinte etnocentriste.
Ma gli ebrei hanno da sempre formato comunità religiose costituite,
più generalmente attraverso le conversioni, in varie regioni del
mondo: esse non rappresentano quindi un «ethnos» portatore di un’origine
unica che si sarebbe spostata con una erranza lunga venti secoli.
Si sa che lo sviluppo di ogni storiografia come, più in generale,
il processo della modernità, ha bisogno di passare, a un dato momento,
per l’invenzione della nazione. Questa occupò milioni di esseri umani
nel XIX secolo e in parte del XX. Alla fine dell’ultimo secolo, questi
sogni accennano a infrangersi. Sempre più numerosi, gli studiosi
analizzano, sezionano e decostruiscono i grandi racconti nazionali,
e in particolare i miti dell’origine comune, cari alle cronache del
passato. Domani, gli incubi identitari cederanno il posto ad altri
sogni d’identità. Come ogni personalità fatta di identità fluide
e varie, la storia è, anch’essa, una identità in movimento.

 

 


Note
* Storico, docente all’università di Tel Aviv, autore di Comment le
peuple juif fut inventé, prossima pubblicazione, settembre 2008,
Fayard ed.

 

(1) Testo fondatore del giudaismo, la Torah – la radice ebraica yara,
significa insegnare – comprende i primi cinque libri della Bibbia,
o Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.

(2) Cfr. David Ben Gourion e Yitzhak Ben Svi, Eretz Israël dans le
passé et dans le présent (1918, in yiddish), Gerusalemme, 1980 (in
ebraico) e Ben Zvi, Notre population dans le pays (in ebraico), Varsavia,
Comité exécutif de l’Union de la jeunesse e Fonds national juif,
1929.

(3) La Mishna, ritenuta la prima opera di letteratura rabbinica,
è stata terminata nel II secolo della nostra era. Il Talmud è una
sintesi dell’insieme dei dibattiti rabbinici riguardanti la legge,
i costumi e la storia degli ebrei. Ci sono due Talmud: quello di
Palestina, scritto tra il II e il V secolo, e quello di Babilonia,
terminato alla fine del V secolo.

(4) Parlato dagli ebrei dell’Europa orientale, lo yiddish è una lingua
slavo-tedesca che comprende parole provenienti dall’ebraico.

(5) Nella mitologia greca, Clio era la musa della Storia.
(Traduzione di M.G.G.)

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