Cresce la preoccupazione israeliana per la campagna internazionale di boicottaggio, disinvestimento, sanzioni (BDS). Emblematico editoriale di una agenzia israelian

Un editoriale di Ynet news (agenzia israeliana) rivela le
preoccupazioni e le contromisure che l’establishment israeliano intende
prendere
contro la campagna di pressioni internazionali avviatasi con le
iniziative BDS
in tutto il mondo. Ultima in ordine di tempo nel nostro paese,
l’iniziativa di
contestazione alla multinazionale farmaceutica israeliana "Teva" alla
Fiera
Cosmofarma di Roma sabato scorso. L’editoriale di Ynet news è stato
tradotto da
Stephanie Westbrook.


Contrastare la
guerra "soft"
Fayyad si
rende conto del potenziale potere della guerra "soft" contro Israele; 
anche noi dovremmo

di Asher
Fredman

5 maggio
2010

Israele sta
prendendo coscienza della crescente minaccia della guerra "soft"
perseguita a
livello internazionale contro il paese. Pare che l’artista jazz Gil
Scott-Heron
abbia disdetto il suo prossimo concerto a Tel Aviv, e questo è solo
l’ultimo
risultato della crescente campagna per promuovere un boicottaggio
culturale
contro Israele. L’assalto contro la vice ambasciatrice di Israele nel
Regno
Unito mentre completava una sua relazione universitaria il 28 aprile è
un altro
segnale che la guerra "soft" può ben presto trasformarsi in una
"dura".

Quelli che
portano avanti la guerra soft hanno adottato diverse tattiche, incluse
le azioni
legali contro funzionari israeliani all’estero, la delegittimazione di
Israele
come il principale paese che viola i diritti umani nel mondo, e un
deciso sforzo
nel mettere a tacere i sostenitori di Israele. Equiparando la loro causa
alla
lotta contro l’apartheid in Sud Africa, hanno fatto la promozione di
boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele il punto
centrale
della loro campagna.

Il primo ministro
palestinese Salam Fayyad sembra essere stato uno dei primi tra i
responsabili
politici della regione a riconoscere e apprezzare questi sviluppi. Il
suo piano
da due anni per rafforzare la creazione unilaterale di uno stato
palestinese si
basa sul presupposto che il potenziamento degli istituzioni palestinesi
aiuterà
a creare un clima internazionale in cui Israele è costretto ad accettare
le
richieste chiave palestinesi.

La scommessa è
che la crescente pressione internazionale su Israele sarà un
catalizzatore più
efficace per concessioni israeliane piuttosto che la resistenza violenta
o i
difficili negoziati. Il tempo, ritiene, sta dalla sua parte.

Ad oggi, il
successo del movimento BDS è stato limitato. Nonostante i ripetuti
inviti da
potenti ONG come Amnesty International a cessare la vendita di
attrezzature
militari a Israele, nessun paese ha accettato di farlo. Anche il Regno
Unito,
che ha creato una bufera la scorsa estate quando ha revocato alcune
licenze per
l’esportazione di armi verso Israele, ha insistito con forza che questo
non
costituiva alcun tipo di embargo.

Nonostante i
numerosi tentativi di adottare risoluzioni di disinvestimento nei campus
in
tutti gli Stati Uniti e in Europa, sono poche le risoluzioni che sono
state
approvate, ancora di meno quelle attuate.

Tuttavia, il
pericolo per Israele dipende dal potenziale effetto "valanga" di queste
campagne
. In diversi aspetti, il numero delle campagne che
raggiungono il
loro obiettivo è meno importante che la percezione che il movimento nel
suo
complesso sta guadagnando sul terreno. Questa percezione genera
legittimità per
la guerra soft, invoglia altri ad unirsi e può diventare una profezia
che si
autoavvera.

Tagliare le
gambe al movimento BDS

Comprendendo
l’importanza di questa percezione, il sito web dell’Israel Apartheid
Week
(IAW) 2010 vantava, "l’IAW 2010 si svolge dopo un anno di successi
incredibili per il movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni
(BDS) a
livello internazionale". Gli event dell’IAW di Toronto
comprendevano un
incontro intitolato "Cinque anni dal lancio del BDS – Festeggiamo i
nostri
successi".

È essenziale
quindi che gli organismi del governo incaricati di elaborare la
strategia di
Israele per combattere la guerra soft dedichino risorse importanti per
tagliare
le gambe al movimento BDS
. Ci sono poche possibilità che qualsiasi
argomento
possa convincere i sostenitori più convinti del BDS che è sbagliato
isolare
Israele. La percezione, tuttavia, che il movimento abbia successo
deve essere
contrastata.

Come risposta
alle notizie in merito di decisioni di disinvestimento da parte di fondi
pensione, Israele deve perseguire, e soprattutto pubblicizzare,
l’aumento degli
investimenti e di nuovi legami commerciali con altri paesi. Artisti e
personalità bombardati da campagne su Internet chiedendo che annullino
il loro
spettacolo devono essere contattati e devono essere informati della
versione
israeliana della storia.

Ci sono molte
altre misure che Israele può e deve adottare per contrastare questo
assalto. In
parallelo alle campagne di immagine che enfatizzano le realizzazioni
scientifiche e culturali di Israele, le domande più difficili devono
essere
affrontate direttamente. Nei campus universitari, raccontare i
contributi di
Israele nella tecnologie degli SMS oppure nel rock indipendente risulta
insignificante di fronte ad una foto di un posto di blocco.

Anche ai convinti
serve predicare. Molti giovani, che in passato sarebbere stati disposti a
prendere posizione a favore di Israele, sono stati influenzati da
notizie
sbilanciate da parte dei media e dalle relazioni pungenti di gruppi come
Amnesty
International e Human Rights Watch. Pubblicizzare i numerosi elementari
errori
di fatto e di diritto in queste relazioni sarebbe un primo
passo.

L’area di
interesse geografico su cui Israele concentra gli sforzi deve allargarsi
in modo
significativo. Mentre la maggior parte dell’attenzione è stata
tradizionalmente
dedicata agli Stati Uniti, l’Israele Apartheid Week 2010 ha avuto luogo
in 13
città canadesi, 12 città europee, e 10 negli Stati Uniti.

Il punto che deve
essere assimilato è che la guerra soft non costituisce semplicemente un
fastidio
o addirittura una minaccia economica. Si tratta di un processo che
potrebbe
svolgere un ruolo importante nel indirizzare il futuro status quo tra
Israele e
i palestinesi.
Questo status quo sarebbe quello imposto
dall’esterno, e non
prenderebbe necessariamente in considerazione gli interessi di
Israele.

La leadership
palestinese ha riconosciuto le implicazioni di vasta portata di queste
prospettive in continua evoluzione. È ora che la leadership israeliana
si
svegli.
 
 
Traduzione
di Stephanie Westbrook
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