Nostra traduzione da Palestine from my eyes – Peaceful resistance in the form of drawings and writings from Gaza, Palestine
Samir e sua madre
“Samer si fidanzerà!” disse il mio amico Loai ridendo fragorosamente. “Oh mio Dio! Veramente? Quando?” esclamai mentre la mia testa era attraversata da una lista infinita di domande ed esclamazioni.
Samer Abu Seir è un ex detenuto che è stato rilasciato con l’ultimo scambio di prigionieri ed è stato deportato da Gerusalemme nella Striscia di Gaza. Sposarsi non dovrebbe essere sorprendente per uno scapolo di 46 anni, comunque Samer è uno dei pochi prigionieri in libertà che è sempre stato cauto sull’idea di sposarsi, soprattutto dopo aver speso più tempo nelle carceri israeliane che in libertà. Mi ricordo che quando lo incontrai per la prima volta gli chiesi per quanto fosse stato prigionero. Mi rispose con sarcasmo: “Niente! Solo 24 anni trascorsi in un batter d’occhio.”
Ha sempre pensato di aver bisogno di tempo per tenersi aggiornato su ciò che era avvenuto nel mondo. Ha sempre ritenuto di aver bisogno di abituarsi ad osservare il cielo, gli alberi, i palazzi affollati, a passeggiare sulla spiaggia di Gaza e sentire la sua brezza accarezzargli dolcemente le guance, invece di stare in un’angusta cella, sempre sotto un orribile tetto grigio scuro e tra le stesse quattro mura che da cui non filtravano nè luce nè aria.
“Cosa c’è dietro questa decisione improvvisa?” chiesi a Loai, che rispose: “Sua madre ha 83 anni e non sta bene. Si sta sbrigando a farlo per farla felice. Così se muore può riposare in pace.”
Samer è cresciuto senza il padre, morto mentre era in Giordania quando lui era piccolo. Sua madre, vedova, lo ha cresciuto da sola insieme ad altri due fratelli e a due sorelle. Stravede per lei. È il simbolo di una maternità che ha cresciuto i propri figli nei nobili valori dell’amore, della dignità e del sacrificio per la Palestina. Lei riteneva che c’è sempre un prezzo da pagare per ogni cosa per cui si combatte, ed ha trasmesso queste convinzioni ai suoi figli. Samer e la sua famiglia hanno pagato questo prezzo in molti modi. L’esempio più semplice del dolore che ha sempre subito è che la sua famiglia non si è mai riunita a tavola: C’era sempre almeno un membro assente.
Samer ha sempre subìto lunghi periodi di divieto delle visite familiari, soprattutto durante la sua detenzione in isolamento durata tre anni e mezzo. Questo è stato il periodo più difficile che si è trovato a vivere in prigione perchè pensava costantemente a sua madre e cercava di immaginare come le sue splendide rughe si increspassero sul suo bellissimo, amorevole e pacifico volto. Le visite familiari erano il suo unico legame con il mondo esterno. Ogni volta che una visita terminava attendeva con ansia la successiva.
Per di più in prigione Samer ha sempre condotto una vita instabile, visto che è stato trasferito in ogni carcere di Israele. Il suo costante pensiero rivolto alla madre gli ha reso ancora più dolorose le pratiche inumane del Sistema Penitenziario Israeliano (SPI). Sua madre non ha mai permesso che nessuna delle umiliazioni subite durante le perquisizioni personali [ praticate costringendo i parenti dei detenuti a spogliarsi di fronte ai soldati NdT] e gli insulti le impedissero di tenere i colloqui di 45 minuti con suo figlio, separato da lei da una grata.
Non ha smesso di soffrire nemmeno dopo che Samer è stato rilasciato. Ha dovuto affrontare il dolore dei 24 anni di prigionia del figlio senza lamentarsi, ed ha continuato ad addolorarsi perchè lo avevano deportato lontano da lei. Questa è un’altra violazione dell’articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra, che proibisce di deportare le persone all’interno o all’esterno dei territori occupati.
Mentre pensavo al matrimonio di Samer (e alle sue motivazioni) mi sono ricordata di quando sua madre è arrivata a Gaza, una settimana dopo lo scambio di prigionieri, sfidando l’età avanzata e le cattive condizioni di salute. Nel novembre scorso sono andata con la mia famiglia ad una festa della libertà dove nessuno stava seduto al suo posto: tutti stavano felicemente ballando la Dabka, la danza tradizionale, e sventolavano le bandiere palestinesi mentre di sottofondo venivano suonate delle canzoni rivoluzionarie.
La madre di Samer che balla per festeggiare la liberazione del figlio
Lì cominciai a fissare una donna anziana che indossava l’abito tradizionale palestinese. Riusciva a malapena a camminare o a restare in piedi, ma la sua felicità le aveva permesso di raccogliere tutte le sue forze per ballare lentamente e in modo irregolare. La guardavo con gioia chiedendomi chi fosse. Lo chiesi a mio padre, che mi rispose sorridendo: “È la madre di Samer. Ovunque la vedi, sta ballando. Quando scende dalla macchina, lei balla. Quando qualcuno le fa visita a casa per congratularsi della liberazione di suo figlio, lei balla. Guarda quanto è felice! Mi ricorda tua nonna, che stava nelle sue stesse condizioni quando venni liberato. Tutta la Striscia di Gaza ha saputo del mio rilascio a causa sua. Ballava e cantava canzoni ovunque andasse.”
Samer doveva fidanzarsi ufficialmente questa sera, con sua madre che doveva dare l’assenso via Skype da Gerusalemme. Ma il destino ha contrastato la sua volontà di far felice la madre. Questa mattina si è svegliato sentendo la notizia della sua morte, e ciò che doveva essere un matrimonio è diventato un funerale.
Sono grata del fatto che ha vissuto abbastanza a lungo almeno per festeggiare la liberazione di suo figlio. Questo evento mi fa venire alla mente un’altra storia che ho scritto lo scorso dicembre, parlava della madre di due ex prigionieri di Hebron che erano stati deportati a Gaza, e che era riuscita a stringerli entrambi tra le sue braccia per l’ultima volta. Per favore dite una preghiera per Samer e per la sua famiglia.