Una famiglia di Gerusalemme aspetta con ansia il ritorno del proprio figlio, Jihad al-Obeidi, dopo 25 anni trascorsi nelle carceri israeliane

Continuiamo a tradurre gli articoli dell’attivista Shahd Abusalama sulle storie dei prigionieri politici palestinesi. La prima era su Samer Abu Seir, la seconda sul padre dell’autrice.

nostra traduzione da Palestine from my eyes

Il padre di Jihad festeggia il prossimo rilascio di suo figlio dalla prigione israeliana. (Amjad Abu Asab)

Il padre di Jihad festeggia il prossimo rilascio di suo figlio dalla prigione israeliana. (Amjad Abu Asab)

Il detenuto palestinese Jihad al-Obeidi sarà liberato il 20 gennaio dopo 25 anni trascorsi nelle carceri israeliane. La sua famiglia ha già iniziato a decorare la loro casa di Gerusalemme con luci colorate e bandiere palestinesi per festeggiare il suo ritorno alla libertà.  Sono emozionati di riaccoglierlo a casa e di riempire un posto rimasto vuoto per 25 anni.

Jihad al-Obeidi è stato accusato di essere affiliato al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e di aver provato ad uccidere dei soldati israeliani. È stato condannato a 25 anni di prigione sebbene non abbia mai presenziato ad un udienza: non era nel tribunale che lo ha condannato dopo che è stato espulso per essersi rifiutato di alzarsi in piedi di fronte ai suoi giudici razzisti.

Jihad ha scritto alla sua famiglia che il primo posto che visiterà dopo il rilascio sarà la tomba di suo nipote, Milad Ayyash. Milad era un ragazzo di 17 anni morto nel maggio 2011, caduto preda di un criminale israeliano che vive a piede libero in virtù del suo status di colono. Questi sparò a Milad colpendolo al torace quando i palestinesi del quartiere di Silwan (Gerusalemme) commemorarono il sessantaquattresimo anniversario della Nakba.

La Nakba è il più oscuro periodo della storia palestinese, l’anno [il 1948 NdT] degli omicidi di massa, della spoliazione e della pulizia etnica sistematica di 750 mila palestinesi e dei loro 513 villaggi. L’entità sionista, ciò che oggi viene chiamato Israele, è stata costruita sulle loro rovine.

Ucciso dal colono

Gli abitanti di Silwan stavano manifestando di fronte all’abitazione di un colono illegale nel quartiere di Beit Yonatan (Gerusalemme Est) – il sito dell’ennessimo sfratto compiuto dai coloni radicali che stanno cercando di giudaizzare questa parte di città – quando improvvisamente si è aperta una finestra ed il colono ha sparato lasciando affogare Milad nel suo stesso sangue. (Vedi le foto del funerale di Milad scattate da Mahmoud Illean.)

Milad è nato ed è tragicamente morto durante la prigionia di suo zio Jihad. Non ha mai conosciuto suo zio, visto che per le regole inumane del Sistema Carcerario Israeliano solo ai parenti di primo grado – ma spesso neanche a loro – sono concesse le visite familiari. Jihad e Milad si sono conosciuti attraverso le fotografie ed i racconti di sua madre. Milad era molto attaccato a suo zio, come anche agli altri prigionieri palestinesi visto che è il figlio di un altro ex detenuto, Saeed Ayyash, liberato durante lo scambio di prigionieri del 1985. Spesso la mente di Milad viaggiava al giorno in cui suo zio sarebbe stato liberato e chiedeva a sua madre se la sua prima visita fosse stata alla loro casa.

La dolorosa notizia della morte di Milad ha ridotto il cuore di Jihad in frantumi, ed ha deciso di avverare il desiderio di suo nipote visitandolo per primo: visiterà la sua tomba per dimostrare che Israele non uccide i nostri bambini, li rende immortali e, prima o poi, sarà processata per tutti i suoi crimini contro l’umanità.

Sciopero della fame di solidarietà

Una foto di Loai e dei suoi compagni scattata in prigione. Loai è il primo a sinistra, Jihad al-Obeidi il secondo da destra.

Una foto di Loai e dei suoi compagni scattata in prigione. Loai è il primo a sinistra, Jihad al-Obeidi il secondo da destra.

Loai Odeh, un detenuto liberato durante lo scambio con Shalit ed esiliato da Gerusalemme nella Striscia di Gaza, mi ha acceso la curiosità di conoscere meglio la storia di Jihad al-Obeidi. Durante lo sciopero della fame iniziato nella Giornata del Prigioniero Palestinese del 2012 parecchie persone, tra cui anche i parenti dei detenuti e gli ex detenuti, hanno intrapreso uno sciopero della fame di solidarietà in una tenda aperta nel parco di Gaza.

Loai era uno degli scioperanti che ha partecipato al presidio. Aveva decorato il suo letto con le foto dei detenuti a cui era più legato, tra questi c’era Jihad.

Ciò mi ha spronato a cercare il suo nome su Google ed ho trovato un video commovente dei suoi genitori che mostra il tormento che dovevano sopportare, come i genitori di altri detenuti palestinesi, soprattutto per usufruire delle visite familiari di 45 minuti. Il video iniziava con la madre settantacinquenne che si presentava dicendo: ” Sono Um Jihad al-Obeidi. Sono nata a Lifta.”

Lifta

Lifta è un villaggio alla periferia settentrionale di Gerusalemme, uno dei centinaia di villaggi palestinesi confiscati dal neonato stato ebraico nel 1948. Ma è uno dei pochi che non è stato ricoperto dal cemento delle città e delle strade israeliane, o ricoperto di alberi e cespugli per creare foreste, parchi e zone picnic, o trasformato in colonie per artisti israeliani. Le rovine di Lifta sono state minacciate di essere abbattute e trasformate in abitazioni di lusso innumerevoli volte.

Un sospiro ed un momento di silenzio sono seguiti a questa frase, come se Umm Jihad volesse ricordare a tutti che il suo villaggio originariamente è palestinese e che per l’ingiustizia che il popolo palestinese affronta continuiamo a lottare e a pagare il prezzo della libertà. Per molti palestinesi Lifta è un simbolo della Nakba, del desiderio della loro terra e della durezza del loro status di profughi, una memoria fisica dell’ingiustizia e della sopravvivenza.

Una foto di Umm Jihad al-Obeide scattata sul suo balcone che affaccia sulla Città Vecchia di Gerusalemme (Amjad Abu Asab)

Una foto di Umm Jihad al-Obeide scattata sul suo balcone che affaccia sulla Città Vecchia di Gerusalemme (Amjad Abu Asab)

Da quando Jihad è stato arrestato sua madre è caduta in depressione per poi ammalarsi di cancro, affrontando la chemioterapia e quattro operazioni chirurgiche. Tuttavia ha tratto forza dal proprio desiderio di rivedere suo figlio. Il timore di morire prima di poterlo riabbracciare non l’ha mai abbandonata. È stata in grado di visitarlo solo una volta all’anno perchè la sua saluta non le avrebbe permesso di viaggiare troppo lontano.

“Possa Dio darci la salute e la pazienza di vederti libero” dice nel video mentre abbraccia e bacia la foto di suo figlio. “La tua liberazione sarà il momento più felice della mia via. Se Dio vuole vivrò abbastanza a lungo da abbracciarti lontano dalle sbarre e dagli occhi inquisitori dei carcerieri e per portare in braccio i tuoi bambini.”

Jihad verrà rilasciato tra pochi giorni, ma agli occhi di sua madre trascorrono come degli anni.

I genitori di Jihad, come tutti i genitori dei detenuti, hanno sofferto dei maltrattamenti da parte del Sistema Carcerario Israeliano (SCI), soprattutto durante le visite familiari. Durante questi 25 anni lo SCI lo ha trasferito in quasi tutte le carceri, così non ha mai avuto un senso di stabilità. Non hanno mai calcolato la distanza tra la sua cella e la casa dei genitori, che per anni hanno coperto lunghe distanze per raggiungerlo per poi soffrire le vessazioni fisiche e verbali, l’umiliazione, le perquisizioni e le lunghe ore di attesa.

Le promesse e l’amarezza

“Jihad continua a prometterci che quando verrà rilasciato non ci lascerà fare nulla in casa” dice suo padre con un debole sorriso. “Ha detto che cucinerà, pulirà e ci servirà con tutte le sue forze perchè ha potuto percepire tutte le torture di Israele che abbiamo sopportato per fargli visita. Delle volte in inverno, durante i colloqui familiari, i soldati israeliani erano abituati a farci rimanere in piedi ad aspettare fuori dalla prigione mentre nevicava.”

Malgrado queste visite siano un’ancora di salvezza per i prigionieri e per le loro famiglie, la felicità di vedersi e di parlarsi è mescolata con l’amarezza. “Piangiamo ogni volta che lo vediamo dietro le sbarre” dice suo padre con gli occhi pieni di lacrime. “I nostri cuori soffrono nel vedere che sta invecchiando là dentro.”

La dolorosa storia dei genitori di Jihad sta per avere un lieto fine con il suo rilascio, ma ci sono ancora migliaia di prigionieri che continuano a soffrire insieme alle loro famiglie. Pensando alle altre famiglie con cui condividono lo stesso dolore la madre di Jihad dice: “Mio figlio ha scontato la maggior parte della sua pena, ma molti altri stanno scontando degli ergastoli. Faccio appello a tutti per ricordare questi prigionieri e continuare a seguire la loro giusta causa. Li appoggio affinchè possano presto riacquistare la loro libertà e tornare alle loro famiglie.”

Il mio messaggio a Jihad al-Obeidi: questo post è dedicato a te per congratularmi in anticipo per la tua libertà fisica. Israele è riuscita soltanto ad imprigionare il tuo corpo, ma mai nè la tua mente, nè la tua determinazione o la tua speranza infinita per la libertà completa.

Ho sempre guardato a te e a tutti i tuoi compagni come a degli eroi, poichè sacrificate i più preziosi anni della vostra vita per l’amore della nostra libertà e dignità. Siete i più onorati e i più coraggiosi. Stai sicuro che la tua gente a Gaza è emozionata per la tua libertà come la tua gente a Gerusalemme. Le mura israeliane dell’apartheid ed i checkpoint non riusciranno mai a metterci da una parte. So che la tua felicità non sarà totale perchè più di quattromila tuoi compagni stanno ancora nelle carceri, ma noi innalzeremo le nostre voci e continueremo a lottare fino a che tutte le prigioni non saranno svuotate.

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