Nostra traduzione da Electronic Intifada
di Osamah Khalil
Nei mesi scorsi sono state fatte molte ipotesi sul fatto che i principali partiti politici palestinesi (Fatah ed Hamas) possano definitivamente riconciliarsi.
Sebbene i due partiti abbiano negoziato numerosi accordi sin dal 2005 nessuno di questi è mai stato applicato. La loro mancanza di volontà nel voler raggiungere un accordo d’unità nazionale è sintomatico di un fallimento più grande: l’incapacità del movimento nazionale palestinese di raggiungere i propri obiettivi. Mentre quest’anno cascherà il sessantacinquesimo anno dalla Nakba – la pulizia etnica che ha permesso la fondazione di Israele – ed il ventennale degli accordi di Oslo questa persistente discordia mette in luce anche un’altra preoccupazione incalzante: oggi chi rappresenta il popolo palestinese?
Come parte dell’accordo di unità nazionale Hamas dovrebbe entrare nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP – dominata da Fatah) che è ancora riconosciuta a livello internazionale come “il solo e legittimo rappresentante del popolo palestinese.” Si dovrebbero anche tenere le elezioni del Consiglio Legislativo Palestinese (CLP) che “rappresenta” i palestinesi che abitano nella West Bank occupata e a Gaza. Alcuni palestinesi stanno anche sostenendo l’elezione diretta del Consiglio Nazionale Palestinese (CNP) dell’OLP, che è considerato il “parlamento in esilio” del popolo palestinese. Si crede infatti che ciò potrebbe fornire un percorso per rivitalizzare l’OLP e renderlo più responsabile per tutti i palestinesi.
Capi senza legittimazione
Comunque è improbabile che ristabilire l’OLP – anche tramite elezioni dirette – renda l’organizzazione più rappresentativa o i suoi leader più responsabili. Servirà invece a consolidare lo status quo e a fornire alla sua dirigenza una legittimazione di cui non gode più.
Le istituzioni dell’OLP furono progettate per un movimento di liberazione nazionale e sono state volutamente costruite per limitare una rappresentanza diffusa fino al raggiungimento della vittoria. In assenza della vittoria le stesse strutture istituzionali sono state utilizzate per bloccare delle riforme potenziali e per isolare la dirigenza palestinese dalla popolazione che pretendeva rappresentare. Al principio venne istituita con l’appoggio del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser ed era il prodotto delle rivalità tra gli arabi. L’organizzazione è stata realmente indipendente dal Cairo solo a partire dal 1968.
Sebbene la situazione dei palestinesi e dell’OLP è drasticamente cambiata dal 1968, le strutture istituzionali dell’organizzazione ed il suo metodo di governo sono rimasti gli stessi. Le sue istituzioni chiave non sono solo anacronistiche ma servono per ostacolare le sfide interne ed esterne, e ciò risulta chiaramente dal confronto tra i suoi due principali enti: il CNP ed il comitato esecutivo.
Secondo il ricercatore Mazen Masri, sulla carta il CNP ha il compito di stabilire “le politiche, i piani ed i programmi” dell’OLP mentre il comitato esecutivo è “l’organo esecutivo primario” dell’organizzazione. (“Memo: distinction between PLO, PA, PNC, PLC,” 5 February 2006).
Comunque negli ultimi quarant’anni il comitato esecutivo ha di fatto svolto le funzioni legislative ed esecutive. Nel frattempo il CNP non ha verificato, bilanciato od anche consigliato il comitato esecutivo, ma ha solo ratificato le sue decisioni. Inoltre il comitato, quasi come l’OLP ed il più ampio movimento nazionale palestinese, è diventato sempre più dipendente dalle decisioni e dagli atti del presidente dell’OLP Yasser Arafat. Dalla morte di Arafat, Mahmoud Abbas ha cercato di ricoprire questo ruolo.
Anche se ci sono stati dei dibattiti tra i differenti gruppi politici rappresentati nel CNP sarebbe difficile – se non insincero – definirlo un organo legislativo. Tutti i seggi erano erano assegnati in base alla nomina e non all’elezione, e la maggior parte erano assegnati in base alla consistenza delle varie fazioni politiche. Sebbene vi fossero dei seggi riservati agli indipendenti, questi erano in gran parte allineati con Fatah, rafforzandone ulteriormente il suo peso nell’OLP e sostenendo il potere di Arafat. Inoltre nel periodo di maggiore attività ed influenza dell’OLP, il CNP si riuniva solo ogni 1 o 2 anni.
La combriccola di Arafat
Gli accordi di Oslo del 1993 hanno messo in luce sia la debolezza delle istituzioni dell’OLP, in particolare del CNP, sia il ruolo predominante di Arafat all’interno del comitato esecutivo. I negoziati erano noti solo ad un piccolo gruppo di persone vicino ad Arafat. Inoltre l’accordo non venne ratificato nè dal CNP nè dal comitato centrale dell’OLP. Al contrario Arafat per prima cosa ne discusse con la dirigenza di Fatah e solo dopo, in seguito a pressioni, accettò di convocare il comitato esecutivo. Quando l’accordo venne finalmente discusso nel comitato centrale di Fatah e nel comitato esecutivo dell’OLP entrambi gli organi lo approvarono.
Il periodo di Oslo è servito ad aggravare l’inefficacia del CNP. Con il potere di Arafat senza alcun controllo e l’OLP moribonda, il CNP divenne solo un ratificatore simbolico. Ciò è stato evidente nella riunione del dicembre 1998 a Gaza per emendare l’atto costitutivo dell’OLP – una decisione presa da Arafat e confermata dal CNP (“Clinton watches as Palestinians drop call for Israel’s destruction,” The New York Times, 15 dicembre 1998). Tra l’altro non è chiaro chi includesse il CNP nel 1998, visto che erano presenti sia dei membri che dei non membri che votarono.
L’efficacia limitata del CNP prima e dopo Oslo solleva delle domande sulle sue possibilità di riforma. Sebbene la composizione, il criterio di rappresentanza e l’attività fossero giustificabili per il “parlamento in esilio” di un movimento di liberazione nazionale, oggi non si può dire lo stesso. Inoltre non è chiaro come un CNP – anche uno eletto direttamente – possa sperare di limitare, costringere od influenzare un comitato esecutivo che mantiene il controllo del bilancio e della politica interna ed estera. Quindi la sola riforma del CNP non cambierà questa dinamica.
Senza denti
Oltretutto già c’è l’esempio di un organo eletto ma impotente: il CLP. In qualità di presidente dell’Autorità Palestinese Arafat ha controllato il CLP più di quanto facesse con l’OLP ed il CNP. Il potere fiscale e politico non dipendevano dall’assemblea legislativa ma dal presidente dell’ANP. Inoltre le funzioni ed il potere del CLP sono limitati alle condizioni degli accordi di Oslo, che sono serviti anche ad espandere il potere esecutivo e legislativo del presidente dell’ANP. Così quando il CLP ha provato ad agire in modo indipendente Arafat o ne ha ignorato le decisioni o ha utilizzato il suo doppio ruolo di presidente dell’ANP e dell’OLP per indebolire o scavalcare queste decisioni.
Questo andazzo è peggiorato con Abbas. Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni del 2006 gli Stati Uniti, Israele e la dirigenza dell’ANP hanno lavorato sodo per capovolgere la loro vittoria alle urne. Anche dopo la formazione di un governo unitario ai legislatori del CLP è stato impedito di svolgere le proprie funzioni. Ciò include una campagna attiva di Israele per carcerare i parlamentari della West Bank e per impedire a quelli di Gaza di andare a Ramallah per partecipare alle sedute. Inoltre il CLP non si è riunito per più di cinque anni e numerosi parlamentari sono detenuti da Israele.
Immaginare un futuro differente
Questi problemi e queste limitazioni rivelano una grossa contraddizione nei tentativi di resuscitare il CLP e l’OLP. Cioè le elezioni democratiche che servono a conservare il dominio di movimenti non democratici non porteranno nè ad una riforma nè alla democrazia. Serviranno invece a rafforzare l’attuale dirigenza e ad irrigidire le differenze tra le fazioni.
Fatah ed Hamas hanno dimostrato di avere un approccio simile nel governare e nel trattare con l’opposizione ed il dissenso. Nessuno dei due “governi del manganello” a Gaza ed in West Bank offrono una visione convincente per il futuro, soprattutto perchè non rappresentano il futuro dei palestinesi bensì il loro passato. Non condurrano ad una rinascita del movimento nazionale palestinese, ma è più probabile che ne ritarderanno ed ostacoleranno il suo sviluppo.
Se i palestinesi vogliono un movimento nazionale vitale, unificato e rappresentativo dovranno costruirselo da zero da soli. Dovranno anche rendere obsoleti ed irrilevanti le istituzioni precedenti ed i loro capi – senza tener conto della loro origine e della loro retorica rivoluzionaria, dei titoli, del simbolismo e dei legami emotivi. Con un passato segnato dal fallimento i palestinesi devono immaginare e lavorare per un futuro molto differente. Altrimenti ci saranno poche speranze di trovare una strategia efficace od un veicolo per raggiungere i propri diritti.
Questo articolo è tratto da un documento più lungo pubblicato da al-Shabaka: The Palestinian Policy Network
Osamah Khalil è un assistente universitario di “Storia degli Stati Uniti e del Medio Oriente” alla Syracuse University’s Maxwell School of Citizenship and Public Affairs e co-fondatore di al-Shabaka