Un movimento femminista ha accusato il governo israeliano di adottare politiche razziste nei confronti della comunità etiope nel paese. Gli attivisti ritengono che molte donne etiopi si siano sottoposte, anche in strutture mediche pubbliche, a trattamenti con un farmaco anticoncezionale, bloccando così la crescita demografica della comunità. Migliaia di etiopi, i cosiddetti Falasha, sono migrati in Israele fin dagli anni ottanta, ma la loro discendenza ebraica è stata spesso messa in discussione e ancora oggi vivono in condizioni sociali difficili. Per circa quattro anni, Racheli Mangoli ha lavorato in un centro per l’infanzia in una delle più povere comunità d’Israele; qui vivono quarantacinque famiglie etiopi, ma in questo periodo è nato un solo bambino in tutta la zona. Dopo alcune ricerche, Racheli ha scoperto che molte donne hanno assunto un farmaco contraccettivo, molto forte e con pericolosi effetti collaterali, non ultima l’infertilità permanente. Il governo nega ogni coinvolgimento circa l’eccessivo utilizzo del farmaco da parte delle donne etiopi. Tuttavia è anche vero che le stesse donne non sono mai state informate dei gravi effetti collaterali del farmaco, che già nel 2004 erano stati denunciati dalla Food and Drug Administration statunitense, ma non dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
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