Niente commercializzazione per prodotti provenienti dalle colonie nei Territori occupati. Non si tratta di ragioni ideologiche, spiega l’azienda ma solo di non chiarezza sul luogo di provenienza. La Campagna Stopagrexco parla di un primo successo e invita a congratularsi con la Coop.
La notizia è apparla su alcuni tra i maggiori giornali israeliani, Ynet e Haaretz, e costituirebbe un successo per la campagna di solidarietà con il popolo palestinese. La Coop, e la Conad, hanno infatti sospeso la commercializzazione dei prodotti provenienti dalle colonie israeliane nei territori palestinesi occupati. Quindi, nente più agrumi e datteri «made in colonie israeliane nei territori palestinesi occupati» sugli scaffali di Coop e Noardiconad, il gruppo che fa da centro di acquisto e distribuzione di Conad nel nord Italia. Le due grandi catene italiane di supermercati, Coop e Nordiconad, hanno infatti deciso di sospendere la vendita di merci della Agrexco, principale azienda esportatrice israeliana di prodotti agricoli. La società israeliana commercializza anche ortaggi e frutta coltivati nelle colonie lungo la valle del Giordano nei Territori palestinesi occupati. Il tutto sotto il marchio Carmel, ma senza l’indicazione del luogo di produzione.
Le varie associazioni componenti la campagna «Stop Agrexco Italia» (Donne in nero, Attac, Fiom-Cigl, Forum Palestina, Un Ponte Per, Ebrei contro l’occupazione, Statunitensi per la pace) hanno immediatamente rivendicato la scelta come un successo delle segnalazioni fatte dai propri soci e dagli attivisti della coalizione Italiana contro la Carmel-Agrexco, il più grande esportatore israeliano di prodotti agricoli, che esporta anche il 60-70% dei prodotti dalle colonie.
Dall’inizio dell’anno, infatti, la coalizione «Stop Agrexco Italia» ha organizzato molti incontri in Italia e lanciato una campagna di pressione, con tanto di sit-in nei supermercati Coop e Conad, per cercare di fermare la commercializzazione di prodotti provenienti dalle colonie israeliane nei Territori occupati.
Diversa la versione fornita dalle catene commerciali che respingono l’ipotesi del boicottaggio. L’assenza di prodotti israeliani dai supermercati Coop, infatti, non dipenderebbe da un’adesione alla campagna ma solo da motivi «commerciali e di tracciabilità delle merci». Lo precisa una nota della stessa centrale cooperativa, sottolineando che «Coop ha deciso di sospendere la vendita delle merci provenienti dai territori occupati da Israele in quanto tale origine è dichiarata solo nelle documentazioni commerciali ma non è presente sul prodotto». Si tratta di «una sospensione in attesa di ricevere maggiori specificazioni circa la provenienza» indicano fonti della stessa Coop. Infatti, «questa modalità di tracciabilità non permette al consumatore finale di esercitare un diritto di acquisto (o non acquisto) consapevole, mancando una reale distinzione fra i prodotti made in Israele e quelli eventualmente provenienti dai territori occupati. Si tratta quindi di salvaguardare un diritto all’informazione corretta sull’origine dei prodotti, importante per garantire la libertà di scelta dei consumatori, e non di una forma di boicottaggio generalizzato, strumento che Coop non usa» si puntualizza.
Resta il dato di fatto del ritiro di quelle merci e di un nuovo colpo all’immagine di Israele dopo la "cacciata" di Noam Chomsky, la rivelazione del Guardian circa il nucleare e le continue frizioni tra il governo di Netanyahu e l’amministrazione Obama.