Riprendersi le strade della Palestina: intervista esclusiva con i graffitisti underground di Gerusalemme

Nostra traduzione da Electronic Intifada

Maath Musleh*
“Non c’è voce più sonora della voce dell’intifada” (Immagine per gentile concessione dell’artista)

Per decenni i graffiti sono stati uno strumento della lotta di liberazione palestinese; durante la prima intifada, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, i palestinesi hanno riempito tutti i muri di graffiti come mezzo per protestare contro l’occupazione. I graffitisti, se venivano colti sul fatto, dovevano affrontare una brutale repressione.

Oggi i giovani palestinesi continuano ad utilizzare quest’arte come una forma di resistenza. La notte del 12 gennaio un gruppo non identificato è penetrato nel cuore pesantemente fortificato di Gerusalemme Ovest e sui muri, sulle porte e sui cantieri ha dipinto dei graffiti contenenti dei messaggi politici. Per lo più rappresentavano il volto di una donna mascherato con una kufiah, la sciarpa tradizionale palestinese a scacchi. Sotto alcune immagini c’era la parola “rivolta” scritta in arabo.

Cinque giorni dopo il gruppo ha colpito di nuovo i muri di Gerusalemme, ed ha rilasciato una dichiarazione anonima in cui prometteva di continuare con queste azioni per mandare messaggi alle comunità palestinese ed israeliana.

Nelle settimane seguenti altri gruppi hanno raccolto il testimone (o per meglio dire le bombolette) in varie città, tra cui Haifa e Jaffa.

A giugno gli attivisti gerosolimitani hanno fatto un coraggioso balzo in avanti pitturando i graffiti sulle porte e sui muri degli edifici governativi, come anche sulle porte d’ingresso delle case israeliane e sulle case palestinesi occupate a partire dalla pulizia etnica del ’48. Hanno inviato gli stessi messaggi invitando i palestinesi, ed in particolare le donne, a rivoltarsi. Hanno anche scritto “Ricordiamo Gaza” in caratteri cubitali sul muro di uno degli edifici.

Graffitista underground parla apertamente

Un membro del gruppo, un’abile giovane attivista femminista palestinese il cui pseudonimo è “Laila”, ha rilasciato un’intervista ad Electronic Intifada a condizione di rimanere anonima. Laila ha praticato l’arte muraria in Palestina da prima della creazione del gruppo di Gerusalemme, dipingendo i muri sia della parte orientale che di quella occidentale.

<<Alcuni graffiti che ho fatto erano in quella che ora è diventata Gerusalemme Ovest, nelle aree a maggioranza ebraica. Altre cose le ho fatte a Gerusalemme Est, dove gli slogan erano per lo più dei messaggi femministi indirizzati alle donne [palestinesi], essenzialmente sul non farsi sovrastare dalla natura patriarcale della nostra società.>>

Il “Jerusalem graffiti group” ha cominciato ad agire dall’inizio di quest’anno.

<<Siamo un gruppo di giovani palestinesi, sia uomini che donne, attivi nel movimento di resistenza popolare – spiega Laila aggiungendo che all’interno del gruppo c’è differenza di origini e di prospettive – Non possiamo essere categorizzati da un’unica etichetta: siamo molto diversi. Ciò che ci ha unito è il nostro attivismo, il nostro profondo desiderio di continuare il movimento di resistenza e di essere attivi.>>

I membri del gruppo si sono incontrati durante le manifestazioni che hanno avuto luogo in Palestina. Nell’anno passato hanno partecipato attivamente alla resistenza popolare in West Bank e alle azioni di solidarietà con lo sciopero della fame dei prigionieri. Sebbene si conoscano da poco tempo sono riusciti a fidarsi l’uno dell’altro. <<Credo che ognuno di noi si renda conto che c’è parecchia fiducia all’interno del gruppo.>>

Al momento il gruppo non progetta di espandersi: <<Prima di tutto dobbiamo operare su piccola scala con azioni mirate fino a che non saremo in grado di mobilitare altra gente.>>

<<Questa è la Palestina e noi siamo ancora quì>>

Secondo Laila le attività del gruppo a Gerusalemme Ovest puntando ad indicare nelle strade l’esistenza del popolo palestinese, e a indurre gli israeliani a sentirsi a disagio.

<<Vogliamo ricordargli che questi erano dei quartieri palestinesi, che questa è la Palestina e noi siamo ancora quì. È un po’ come riprenderci le nostre strade e non permettere il  prosequio dello status quo.
Non mi illudo che la nostra arte di strada o le manifestazioni senza armi possano far finire l’occupazione domani mattina. Nessuna di queste azioni isolate dal resto faranno finire l’occupazione. Ma costruiscono un sistema di resistenza. Sono tutte parte di una rete più ampia di resistenza popolare.>>

Fino ad adesso il gruppo di Gerusalemme ha intrapreso tre azioni, tutte con messaggi simili. <<Le tre azioni si sono svolte in zone differenti. Abbiamo voluto prendere lo stesso messaggio e trasmetterlo per tutta la città. Alcuni graffiti sono stati coperti nel giro di 48 ore. Noi li abbiamo ri-dipinti… anche se li cancelli il problema non se ne andrà e noi saremo ancora quì.>>

È ancora troppo presto per sapere se il lavoro di questo gruppo si espanderà in altre zone od utilizzerà altri metodi. <<Ci stiamo ragionando. Ci saranno delle novità nelle prossime settimane, perciò restate sintonizzati.>>

Laila non crede che il suo attivismo sia solo un mezzo per terminare l’occupazione, bensì spera che il suo lavoro possa incoraggiare un cambiamento nella società palestinese.

<<L’obiettivo finale è anche quello di creare una società differente da quella attuale. Ad esempio, quando penso al ruolo della donna nel movimento di resistenza popolare, rifletto sul fatto che è importante che le donne abbiano anche lo stesso ruolo nel processo di creazione di una nuova società palestinese. Saranno parte della leadership? Saranno parte dell’azione? Saranno parte della costruzione delle strutture e delle istituzioni della società?>>

L’appoggio alla resistenza nonviolenta

La resistenza popolare nonviolenta che negli ultimi anni si è espansa rapidamente in opposizione al muro e alle colonie è stata oggetto di critiche, ed accusata di essere inefficiente e di aiutare al mantenimento dello status quo. Il comitato di coordinamento della lotta popolare ogni settimana organizza delle manifestazioni contro l’occupazione in numerosi villaggi della West Bank. I critici dicono che queste manifestazioni non hanno ancora prodotto dei risultati tangibili.

<<Sin dagli anni ’30 i palestinesi hanno utilizzato numerose strategie e tattiche che si possono etichettare come “resistenza nonviolenta”, si pensi agli scioperi, gli scioperi della fame e le marcie. Per esempio le tattiche non violente della Prima intifada sono riuscite a mobilitare migliaia di persone.
La stessa tattica [nonviolenta] può unire molte più persone perchè permette più alti livelli di partecipazione rispetto alla resistenza armata.>>

Laila crede che la resistenza nonviolenta sia il modo di portare a termine l’occupazione. <<Non voglio parlare per gli altri del gruppo perchè potremmo non essere d’accordo su questo. Ma io credo che la resistenza non violenta sarà molto più strategica ed influente.>>

Ed anche se la protesta nonviolenta, durante la quale i giovani qualche volta lanciano pietre all’esercito, viene interpretata dai media internazionali come violenta. Laila crede che questa caratterizzazione sia ingiusta perchè i giovani palestinesi che lanciano le pietre al quarto esercito del mondo spesso ricevono in risposta dei proiettili o dei pallettoni d’acciaio ricoperti di gomma.

Laila ritiene che ci sia un doppio standard nei media occidentali. <<Penso che la rivoluzione egiziana sia un grande esempio: abbiamo visto i manifestanti lanciare pietre all’esercito e alla polizia, eppure i media l’hanno dipinta come una rivoluzione nonviolenta.>>

Alcuni hanno anche criticato la partecipazione di attivisti israeliani nella resistenza popolare palestinese.

<<È importante che le strategie e le tattiche siano dirette dai palestinesi, ma stiamo anche parlando di numerosi attivisti israeliani che sono contrari al governo e che vengono a portare una piena solidarietà. Appoggiano la richiesta di pieni diritti e di giustizia per i palestinesi.>>

Il futuro della Palestina

Per quanto riguarda il futuro della Palestina, Laila crede che la soluzione dei due stati sia impossibile. Secondo lei l’idea di uno stato ebraico ha danneggiato la moralità della società ebraica israeliana.

<<Voglio distruggere l’attuale struttura e l’oppressione inflitta dallo stato, non dal popolo. Ci sono talmente tanti ebrei che vogliono tornare in Siria perchè quella è la loro patria. Vogliono tornare in Tunisia o in Marocco perchè sono originari di quelle parti. Conosco ebrei israeliani che hanno pianto quando hanno visto il bombardamento di Baghdad nel 2003, perchè quella è la loro città natale.>>

La graffitista crede che tutti i palestinesi in esilio abbiano diritto a scegliere se vogliono tornare nella loro patria o ricevere una compensazione. Crede che il diritto al ritorno non sarebbe facile, ma non così impraticabile come sostengono molti sionisti. È un diritto.

<<Non credo che ci sarà qualcuno che rimarrà senza casa: ci sono un sacco di strutture. Invece di pensare a come distruggere le colonie il giorno in cui finirà l’occupazione, dovremmo pensare a come potremmo utilizzarle. Ci sono anche un sacco di case palestinesi della Nakba [gli immobili depopolati durante la pulizia etnica del ’48] che sono vuote e che nessuno usa. Perchè i loro proprietari non dovrebbero avere il diritto di tornarci?>>

Laila non è interessata nel lanciare messaggi di coesistenza attraverso la propria arte. <<Questo è l’unico luogo che conosco al mondo in cui i programmi di riconciliazione e di dialogo, ed i messaggi di coesistenza, sono esistiti prima della fine dell’oppressione. È impossibile dire a qualcuno di imparare a coesistere prima che finisca il loro senso di oppressione.>>

Secondo Laila è la società israeliana ad avere il bisogno di riconciliarsi con la storia: <<La società israeliana soffrirà di una crisi di identità prima che si cominci a realizzare ciò che l’occupazione ha significato in tutti questi anni. Non parlo solo dell’occupazione del ’67. Il mio villaggio non è stato colpito nel ’67 ma nel ’48. Il mio villaggio è stato occupato nel 1948.>>

Per quanto riguarda i palestinesi, in seguito alla cosiddetta Primavera Araba sono nati numerosi gruppi giovanili, ciononostante la mobilitazione sembra essere lenta. Numerosi analisti si chiedono quando ci sarà la primavera palestinese.

Laila crede che la società palestinese abbia bisogno di altro tempo per prepararsi alla prossima fase del movimento di liberazione: <<Se [la rivoluzione] avverrà domattina sarebbe un disastro. Ciò che stiamo facendo oggi sono i preparativi. È assolutamente importante essere preparati per quel giorno quando arriverà.>>

* Maath Musleh è un giornalista ed un blogger che vive a Gerusalemme, attualmente sta frequentando un master in giornalismo politico alla City University di Londra.
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