In concomitanza con la chiamata alla mobilitazione fatta per supportare un nuovo sciopero della fame dei detenuti palestinesi, abbiamo deciso di tornare sull’argomento. Invece di far parlare le fredde statistiche o gli aggiornamenti delle agenzie di stampa, abbiamo preferito tradurre le considerazioni (risalenti allo scorso maggio) fatte da un’attivista palestinese che si occupa della raccolta delle testimonianze degli ex prigionieri. Nel brano che abbiamo scelto raccoglie anche le emozioni e le sensazioni di suo padre, un militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che ha trascorso 13 anni nella prigione di Nafha.
Nostra traduzione da Palestine from my eyes
I miei genitori si sono incontrati dopo il rilascio di mio padre, si innamorarono e si sposarono. Sono fiera di essere loro figlia (Nathalie Beser)
Ventisette anni fa gli occhi di mio padre videro la luce del sole dopo essere stato nelle oscurità di una prigione israeliana per tredici anni. Il 20 maggio 1985 mio padre riacquistò la sua libertà.
<<Sono stato condattato a sette ergastoli più altri 10 anni, e pensavo che quella prigione, Nafha, sarebbe stata la mia tomba. Grazie a Dio non ci sono restato così a lungo e sono stato liberato per sposare tua madre e darti alla luce.>> Mi disse mio padre sorridendo. Non considerava poi così lunghi quei 13 anni di sofferenza. Di sicuro non così lunghi rispetto all’ergastolo a cui era destinato se non ci fosse stato lo scambio tra prigionieri palestinesi ed israeliani.
Senza rimpianti
Non ricordo che mio padre abbia mai mostrato rimpianto o tristezza per come gli sono stati rubati i preziosi anni della sua giovinezza. La sua esperienza carceraria è invece la sua canzone di vita. Crede che ciò sia il suo tesoro, il motivo della sua cultura e delle sue convinzioni, del suo carattere forte, delle sue amicize più intime ed il motivo per cui da tanto valore alla vita. Sono sempre stata orgogliosa di essere sua figlia e lo sarò sempre. [Mio padre] è una fonte di esperienza e conoscenza.
Lo scambio è iniziato quando Ahmad Jibril del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina [in realtà dell’FPLP – Comando Generale, un’organizzazione che si era scissa dal principale partito della sinistra palestinese NdT] ha catturato tre soldati israeliani (Yosef Grof, Nissim Salem e Hezi Shai) per ritorsione contro le migliaia di arresti ingiustificati che Israele portava avanti contro i palestinesi. Dopo lunghe trattative entrambe le parti raggiunsero un accordo che prevedeva il rilascio di 1250 prigionieri in cambio dei tre soldati israeliani trattenuti da Jibril. Mio padre è stato incluso nell’accordo e, fortunatamente, è stato liberato. Tra i prigionieri liberati c’erano Kozo Okamoto, un combattente per la libertà giapponese [membro dell’Armata Rossa Giapponese, imprigionato dopo un’azione congiunta con l’FPLP all’aeroporto di Lod NdT] che era stato condannato all’ergastolo, ed Ahmed Yassin, il leader di Hamas condannato nell’83 a 13 anni di prigione.
La storia si ripete
Il 18 ottobre scorso c’è stato un simile evento storico: uno scambio che coinvolgeva il soldato israeliano Gilad Shalit, arrestato dalla resistenza a Gaza mentre era a bordo della sua macchina da guerra (un carro armato). Esattamente come è successo per Shalit, all’epoca la cattura di tre soldati destò scalpore all’interno dell’opinione pubblica israeliana e dei media internazionali, ma nessuno si è mai accorto delle migliaia di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, a parte quei combattenti che costringevano Israele ad accontentare alcune richieste dei carcerati.
Quando penso a questi eventi e a come reagiscono i media internazionali mi arrabbio per quanto sia ingiusto questo mondo. Perchè si fanno un sacco di storie per Shalit ed i tre soldati quando vengono arrestati dai “terroristi” palestinesi mentre migliaia di prigionieri politici vengono lasciati dietro le sbarre a sopportare ogni forma di aggressione e di tortura ed il mondo sceglie di guardare da un’altra parte?
Mio padre mi ha raccontato la storia mentre combatteva per trattenere le lacrime. Stava fissando un’immagine affissa alla parete della sua stanza: un dipinto che aveva fatto durante la prigionia che raffigurava dei fiori che sbocciavano nel filo spinato.
<<Non posso dimenticare il momento in cui il leader della prigione ha cominciato a chiamare i nomi di coloro che dovevano essere liberati.>>
Emozioni eterogenee
Tra i prigionieri c’era Omar al-Qassim, uno dei capi del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, cui era stato chiesto di leggere ad alta voce la lista dei nomi. All’inizio era molto eccitato perchè sperava di veder ripristinata la sua libertà. Ogni volta che pronunciava un nome un urlo di gioia scuoteva le mura della prigione. Tutto d’un tratto cominciò a cambiare espressione, divenne restio a parlare perchè si era accorto che non c’era il suo nome. Questo era un’altro episodio di tortura psicologica che il direttore della prigione gli infliggeva. Ma al-Qassim non gli diede modo di prendersi gioco di lui: si ritirò in silenzio ed andò nella sua cella a continuare la sua resistenza. Purtroppo è morto in una minuscola ed orribile cella dopo 22 anni di resistenza, orgoglio e gloria.
Le lacrime di gioia e di tristezza si mescolarono insieme. I prigionieri liberati erano felici di ottenere la loro libertà, ma erano anche arrabbiati per dover lasciare gli altri prigionieri in quel luogo schifoso dove non brilla mai il sole.
<<Eravamo come una grande famiglia che condivideva tutto. Tutti noi ci occupavamo degli stessi problemi su cui eravamo uniti per combattere. Sebbene ora sia libero la mia anima sarà sempre con i miei amici che stanno ancora soffrendo lì dentro.>>
Mio padre ha sempre detto che “i prigionieri sono i martiri viventi” ed ha anche descritto le carceri israeliane come “le tombe per i vivi”. Uniamoci ed usiamo tutti i mezzi disponibili per ridurre gli anni di sofferenza dei 4653 prigionieri politici palestinesi. Condividiamo questa resposabilità e non possiamo lasciarli come prede per quei carcerieri criminali. La loro libertà sarà un trionfo per l’umanità.