Il Movimento del Jihad Islamico mantiene la sua popolarità a Gaza

Nostra traduzione da al-Monitor
di Asmaa al-Ghoul

Mentre alcune forze politiche palestinesi hanno criticato il Movimento del Jihad Islamico, esso ha mantenuto la sua popolarità presso l’opinione pubblica grazie alle proprie forti posizioni e al rifiuto di lavorare con le forze d’occupazione.

04/10/2012. Una donna tiene una copia del Corano durante una celebrazione del 25° anniversario del movimento del Jihad Islamico a Gaza City. (REUTERS/Suhaib Salem)

Il 9 marzo 2012 gli aerei da guerra delle forze d’occupazione hanno assassinato Zuhir al-Qaisi, segretario generale dei Comitati di Resistenza Popolare (CRP), bombardando la sua macchina a Tel al-Hawa, un quartiere occidentale di Gaza City. Ciò ha indotto il movimento del Jihad Islamico Palestinese (JIP) ad intraprendere da solo una guerra di quattro giorni contro Israele. All’epoca l’ala militare del JIP, le brigate al-Quds, ha sparato circa 200 razzi. Nel caso l’aggressione si fosse protratta hanno minacciato di utilizzare dei razzi in grado di raggiungere le città oltre Ashdod, che dista circa 35 kilometri da Gaza.

Comunque “l’equilibrio del terrore”, così come descritto all’epoca dagli analisti, che ha avuto la meglio in seguito all’omicidio di Haitham al-Mislah del 30 aprile 2013, e i conseguenti raid israeliani, hanno condotto a questa domanda: il JIP ha le capacità di intrapredendere da solo una guerra? Questa guerra potrebbe forse espandersi fino ad includere Hezbollah in Libano, l’Iran e la Siria? Oppure il movimento si limiterà all’intimidazione politica, soprattutto dopo l’annuncio di voler partecipare alle elezioni del Consiglio Nazionale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e alle elezioni dei consigli locali?

La prossima guerra

Al-Monitor ha incontrato Khaled al-Batesh, un leader del JIP, che afferma che una nuova guerra è inevitabile visto che “ora i sionisti cercano di scrollarsi di dosso la pesante sconfitta inflittagli con l’ultima battaglia a novembre scorso, quando la resistenza ha colpito Tel Aviv con i razzi.” Inoltre si aspetta che nella prossima aggressione Israele proverà a mischiare le carte e a confondere il campo di battaglia palestinese inasprendo la situazione e minacciando l’Iran, la Siria ed Hezbollah in Libano.

“La situazione nella Striscia di Gaza può incendiarsi facilmente visto che il nemico crede di poter vincere facilmente, ma non sarà così semplice. La resistenza sarà feroce nel proteggere la gente, vincere la battaglia e sventare il piano del nemico. Colpire l’Iran non sarà facile: Israele e gli Stati Uniti pagherebbero un caro prezzo, a differenza della guerra contro Gaza in cui la comunità internazionale ha tenuto un basso profilo con la scusa della lotta contro il terrorismo.”

Quando ha parlato ad al-Monitor Batesh era sicuro che Gaza sarà probabilmente coinvolta in un’altra aggressione, visto che Israele cerca di ripristinare la sua immagine, eliminare le forze limitate delle fazioni, impedire che vengano sparati razzi ed imporre nuove condizioni riguardo le colonie, anche per dimostrare alla comunità israeliana che il suo governo è potente e capace di imporre le proprie condizioni.

Hassan Abdo, un analista politico del Center for Palestine Research and Studies, non è d’accordo con Batesh. Egli ritiene che l’ultimo assassinio ha rotto la tregua che era stata mediata dall’Egitto. Però questa violazione è stata isolata e non rientrava in una politica israeliana complessiva. Ha inoltre aggiunto che il il ministro della difesa israeliano, Moshe Ya’alon, vuole iniziare una guerra, come espresso in alcune sue recenti dichiarazioni, ma che questo atteggiamento riflette anche la posizione dell’estrema destra da cui proviene.

Abdo ha confermato ad al-Monitor che se le forze d’occupazione avessero continuato con la politica degli assassinii il JIP non sarebbe rimasto con le mani in mano, visto che può condurre una battaglia da solo contro Israele come è successo dopo l’omicidio di Qaisi. Il movimento ha continuato a colpire Israele finchè quest’ultima non ha ceduto. Abdo ha aggiunto che la tregua in corso coinvolge molti partiti ed il JIP non vuole essere visto come il partito che cerca di sabotare questa situazione, e quindi lavorerà in accordo con questa visione collettiva.

Khoder Habib, un dirigente del JIP, ha detto ad al-Monitor che il movimento non preferisce rispondere in maniera unilaterale [alle aggressioni]. “Se la tregua viene rotta il movimento cercherà di ottenere una rappresaglia palestinese unificata che sarà molto più potente della risposta di una singola fazione”. Ha inoltre dichiarato che il JIP si considera come una tra le molte fazioni e gruppi di resistenza palestinesi.

Quando gli viene chiesto quando la resistenza considererà le violazioni israeliane come una rottura della tregua Habib risponde: “Ciò dipende dalla battaglia ed è determinato dai fratelli sul campo, dopo una consultazione con il resto delle fazioni di resistenza palestinesi. Il movimento del Jihad è impegnato a rispettare la tregua, sebbene il nemico l’abbia infranta diverse volte prima d’ora. Il nostro convolgimento a rispettare la tregua riflette il nostro rispetto per i migliori interessi del popolo. Tuttavia se Israele dovesse continuare con le sue violazioni la tregua verrà spazzata via, la resistenza dovrà affrontare una seria sfida e sarà costretta a rispondere.”

No agli accordi di Oslo

Secondo il sito del JIP i principi generali del movimento consistono ne “la liberazione della Palestina dal fiume [Giordano NdT] al mare, dato che questa è la terra dei musulmani e degli arabi. Nemmeno un centimetro di questa terra deve essere compromesso e l’esistenza dell’entità sionista è illegale e vietata. Secondo la Shariah è vetato riconoscere qualsiasi parte dell’entità sionista. Tutti i progetti di colonizzazione che riconoscono l’esistenza sionista in Palestina, o cercano di compromettere qualsiasi diritto nazionale, sono rifiutati e considerati vietati.”

Ciò spiega perchè il JIP rifiuti di prendere parte alle elezioni legislative o presidenziali dell’Autorità Nazionale Palestinese, che è il prodotto degli Accordi di Oslo del 1993. Perciò Abdo ritiene che sia improbabile che il movimento possa essere coinvolto in qualsiasi processo politico sotto l’occupazione israeliana. Ha aggiunto che secondo lui il movimento ritiene che le autorità intermedie siano corrotte, visto che sono state create sotto l’occupazione e quindi ne servono gli interessi e danneggiano il progetto di liberazione della Palestina.

D’altro canto Habib ha dichiarato che il JIP ha una posizione chiara sulle elezioni presidenziali e legislative e non vi parteciperà. Ha la stessa posizione riguardo gli Accordi di Oslo ed il loro esito. È per questo che il movimento ha rifiutato di partecipare alle elezioni nel 1996 e nel 2006.

“L’equazione deve ancora essere cambiata: gli accordi di Oslo sono ancora un punto di riferimento e noi continuamo a rifiutarli perchè li vediamo come una deviazione dalla corretta direzione palestinese, che è di resistere e di liberare tutta la terra.”

Nel suo libro “Il movimento del Jihad Islamico in Palestina: Fatti ed Attitudine” pubblicato nel 2007, Ramadan Shallah, il segretario generale del JIP, ha scritto che il motivo principale del rifiuto delle elezioni è che condurrebbero ad un peggioramento della situazione palestinese.

“Siamo un popolo che sta cadendo sotto l’occupazione. Viviamo ciò che è divenuta nota come una fase di liberazione nazionale dalle grinfie dell’occupazione. In questa fase ed in queste circostanze non c’è nulla di più importante del jihad e della resistenza… Ci chiediamo quali siano gli esiti delle elezioni sulla causa e sul popolo palestinese, a livello interno, politico sociale e di sicurezza. Credo che tutti siano d’accordo quando dico che la situazione attuale è pessima e siamo in una situazione imbarazzante mai vista prima…Dov’è il Consiglio Legislativo? Non è vero che un quarto dei suoi membri sono nelle prigioni israeliane? Ciò non suggerisce che questo processo democratico sotto l’occupazione è una trappola che ci fa deviare dalla nostra priorità, ovvero la lotta contro il nemico?” ha scritto Shallah nel suo libro.

La popolarità del Jihad

Forse alla luce di queste posizioni politiche, che stanno diventando sempre più intransigenti, e a causa della recente guerra contro la Striscia di Gaza la popolarità del JIP è cresciuta al punto tale che alcuni liberali ed alcuni oppositori dei partiti islamici lo hanno lodato in confronto ad altri movimenti affiliati all’islam politico che sono stati coinvolti nella gestione del potere. Il JIP ha cominciato a conquistare terreno dopo che Hamas è salito al potere, dopo essere stato per molti anni il movimento più popolare.

Habib ritiene che la crescente popolarità del movimento è dovuta in gran parte al fatto che questo è totalmente sbilanciato in favore della resistenza senza considerare altre opzioni. Habib dice che “ciò pone un pericolo strategico all’entità sionista. Ciò è vero soprattutto perchè il movimento è stato bersaglio delle forze d’occupazione più delle altre fazioni.”

Batesh ritiene che la popolarità del movimento è il risultato delle sue posizioni chiare, del suo rifiuto al prendere parte a qualsiasi accordo con le forze d’occupazione e del fatto che non è stato implicato nello spargimento di sangue dei palestinesi.

(CONTINUA)

Asmaa al-Ghoul è una giornalista e scrittrice proveniente dal campo profughi di Rafah, Gaza.

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