Smascherare il razzismo dietro la soluzione dei due stati

Nostra traduzione da Ma’an News Agency

Di Haidar Eid*

Un murales sul Muro di Separazione nella cità di Betlemme (West Bank), 16.01.2012. Anne Paq/Activestills

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Mio padre ricorda il suo rilascio dalla “tomba dei vivi”

In concomitanza con la chiamata alla mobilitazione fatta per supportare un nuovo sciopero della fame dei detenuti palestinesi, abbiamo deciso di tornare sull’argomento. Invece di far parlare le fredde statistiche o gli aggiornamenti delle agenzie di stampa, abbiamo preferito tradurre le considerazioni (risalenti allo scorso maggio) fatte da un’attivista palestinese che si occupa della raccolta delle testimonianze degli ex prigionieri. Nel brano che abbiamo scelto raccoglie anche le emozioni e le sensazioni di suo padre, un militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che ha trascorso 13 anni nella prigione di Nafha.

Nostra traduzione da Palestine from my eyes

I miei genitori si sono incontrati dopo il rilascio di mio padre, si innamorarono e si sposarono. Sono fiera di essere loro figlia (Nathalie Beser)

Ventisette anni fa gli occhi di mio padre videro la luce del sole dopo essere stato nelle oscurità di una prigione israeliana per tredici anni. Il 20 maggio 1985 mio padre riacquistò la sua libertà.

<<Sono stato condattato a sette ergastoli più altri 10 anni, e pensavo che quella prigione, Nafha, sarebbe stata la mia tomba. Grazie a Dio non ci sono restato così a lungo e sono stato liberato per sposare tua madre e darti alla luce.>> Mi disse mio padre sorridendo. Non considerava poi così lunghi quei 13 anni di sofferenza. Di sicuro non così lunghi rispetto all’ergastolo a cui era destinato se non ci fosse stato lo scambio tra prigionieri palestinesi ed israeliani.  Continue reading
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Riprendersi le strade della Palestina: intervista esclusiva con i graffitisti underground di Gerusalemme

Nostra traduzione da Electronic Intifada

Maath Musleh*
“Non c’è voce più sonora della voce dell’intifada” (Immagine per gentile concessione dell’artista)

Per decenni i graffiti sono stati uno strumento della lotta di liberazione palestinese; durante la prima intifada, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, i palestinesi hanno riempito tutti i muri di graffiti come mezzo per protestare contro l’occupazione. I graffitisti, se venivano colti sul fatto, dovevano affrontare una brutale repressione.

Oggi i giovani palestinesi continuano ad utilizzare quest’arte come una forma di resistenza. La notte del 12 gennaio un gruppo non identificato è penetrato nel cuore pesantemente fortificato di Gerusalemme Ovest e sui muri, sulle porte e sui cantieri ha dipinto dei graffiti contenenti dei messaggi politici. Per lo più rappresentavano il volto di una donna mascherato con una kufiah, la sciarpa tradizionale palestinese a scacchi. Sotto alcune immagini c’era la parola “rivolta” scritta in arabo. Continue reading
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Il piano Prawer

Video (in inglese) sul cosiddetto Prawer Plan, che prevede lo sradicamento dai loro villaggi dei beduini che vivono nella Palestina occupata nel ’48.

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L’ossessione della “non violenza” danneggia la causa palestinese

da Electronic Intifada, traduzione a cura di Palestina Rossa

Questo discorso è stato adottato dai comitati palestinesi di lotta popolare, nati dopo il successo del villaggio di Budrus, nella West Bank occupata, che abbracciando le proteste popolari sono riusciti a recuperare il 95% delle loro terre espropriate da parte di Israele dal muro dell’apartheid nel 2003. Tuttavia, l’ossessività a concentrarsi su un tipo specifico di resistenza ha in un modo o nell’altro contribuito alla delegittimazione di altre forme di resistenza, e allo stesso tempo ha chiuso una discussione aperta su cosa sia in realtà la resistenza popolare. Continue reading

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Kanafani, un ricordo a 40 anni dall’assassinio

da InfoPal

L’ 8 luglio del 1972 veniva assassinato, a Beirut, lo scrittore palestinese Ghassan Kanafani.
Nato nel 1936 ad Akka, Acri, città costiera della Palestina, nel 1948, al momento della costituzione dello stato d’Israele, con la sua famiglia subì il destino dell’espulsione dalla sua patria e dell’esilio, prima a Beirut e poi a Damasco, dove, nel 1955, divenne insegnante dell’UNRWA.

Si trasferì in Kuwait, dove insegnò per cinque anni, e poi nuovamente a Beirut, dove lavorò come giornalista ed editore capo del giornale al-Hadaf.

Scrisse novelle, storie, articoli politici ed un grande numero di pubblicazioni politiche e letterarie.
Portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, venne subito annoverato tra gli scrittori “della resistenza”, ossia tra quel gruppo di intellettuali palestinesi che utiizzarono la loro particolarissima sensibilità poetica al servizio della patria occupata, per raccontare il dramma di un popolo espulso dalla sua terra, sradicato e disperso a causa del colonialismo occidentale.

Ghassan Kanafani fu assassinato nell’agosto del 1972, quando l’auto con cui accompagnava all’Università di Beirut sua nipote Lamis saltò in aria.
Fra le rovine causate dalla terribile esplosione fu trovato un frammento di carta dell’Ambasciata israeliana di Copenhagen, monito del destino che attende tutti coloro che lottano per la libertà ed il diritto al ritorno in patria.

Kanafani seppe descrivere la vita dei profughi e l’esilio come nessun altro scrittore palestinese.
Molte delle sue storie brevi trattano proprio del destino individuale del profugo schiacciato tra due tragiche realtà: l’occupazione e l’esilio.

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Lettera di Ebrei Contro l’Occupazione a Zingaretti che vuole prendere esempio da Israele

dal blog di Miryam Marino

25 Giugno 2012

Egregio Signor  Nicola Zingaretti, Presidente della Provincia di Roma

Egregio Signor Zingaretti, ci sentiamo in dovere di scriverle, avendo letto  il suo scritto “Israele, un modello da imitare”, dal quale apprendiamo che la Amministrazione da Lei presieduta ospiterà, i prossimi 4 e 5 luglio, delle “Giornate dell’Innovazione”, con lo Stato Ebraico ospite d’onore, ed a quanto si può capire a spese della Amministrazione provinciale. La nostra Associazione, Ebrei Contro l’Occupazione, le chiede di abolire questo invito, per le ragioni che qui le esponiamo. Certamente in Israele esistono tecnici competenti in varie tecnologie avanzate ( si tratta di un Paese diretto, culturalmente e politicamente, da immigranti europei e statunitensi), senza tuttavia giustificare le superlative parole di elogio con cui il suo scritto descrive Israele ai lettori: non si può ragionevolmente pensare che senza l’imitazione dei metodi israeliani le nostre imprese, chi le gestisce, e i tecnici e gli operai che vi lavorano, siano incapaci di muovere un passo. Ma, molto più importante,Israele non è certo un esempio da imitare per il suo comportamento umano, morale e politico. Lei forse non è al corrente del fatto che Israele, dopo esser stato fondato come Stato occupando la terra di Palestina e cacciandone a mano armata gli abitanti, gli Arabi Palestinesi, ha continuato a occupare la Terra assegnata dalle Nazioni Unite ( sempre con anche il voto favorevole di successivi Governi Italiani) ai Palestinesi perché vi costituissero un loro Stato. L’occupazione Israeliana della Terra palestinese dura ininterrotta dal 1948-49, e si è aggravata di continuo, con l’occupazione militare di nuova parte della parte di Palestina che era rimasta ai palestinesi. All’occupazione militare militare è seguita la confisca della terra ai palestinesi, per consegnarla a nuovi coloni israeliani. Oltre alla terra, Israele ha sottratto ai Palestinesi le risorse idriche, sicchè mentre ai palestinesi manca l’acqua per gli usi domestici e per l’agricoltura, gli israeliani la possono adoperare in abbondanza per lavare le automobili. L’occupazione militare è diventata, con il trascorrere degli anni, sempre più rigida: i posti di blocco ed un muro di cemento alto 8 metri impediscono ai palestinesi di muoversi liberamente anche nella poca terra  che per ora è rimasta loro, ed alcune migliaia di palestinesi, dai 12 anni in su, sono detenuti senza processo né accuse specifiche, in “detenzione amministrativa”, spesso in condizioni di estremo disagio. Amnesty International, e altre organizzazioni umanitarie di diversi paesi, anche qualcuna israeliana, hanno documentato che nelle carceri israeliane viene praticata la tortura. Come Lei sicuramente sa, nel 2008-2009 Israele ha compiuto un massacro nella Striscia di Gaza, dove, salvo pochi guerriglieri malamente armati, l’esercito ultratecnologico di Israele ha ucciso circa 1400 persone, tra cui oltre 300 bambini, e ne ha  ferito 5000. Gaza ed il suo territorio è sottoposta tuttora ad un feroce assedio.  La popolazione di Israele ( escludendo i Territori Palestinesi Occupati), è costituita per circa l’80% da Ebrei, e per il 20% da Palestinesi Arabi. Questi ultimi sono gravemente discriminati a tutti i livelli: abitazioni, scuole, sanità, diritti politici. E, più grave di tutto, è tolto loro un diritto umano fondamentale: quello di convivere con il coniuge, se questo è nato fuori dai confini di Israele, ad esempio nei Territori Palestinesi Occupati. Neppure il governo fascista durante la persecuzione razziale contro gli Ebrei avviata nel 1938 era arrivato a tanto. Signor Zingaretti, noi della rete Ebrei contro l’Occupazione ( si tratta dell’occupazione che le hoi brevemente descritto), Le chiediamo di abolire l’invito ad Israele per le “Giornate dell’Innovazione”: ne va della dignità e dell’onore della città di Roma e dell’Italia tutta. Noi, e molti altri italiani raccolti in Associazioni o come singole persone, siamo solidali e collaboriamo con i Palestinesi oppressi, contro gli Israeliani oppressori. Ci onoriamo di collaborare e solidarizzare con i nostri amici Palestinesi, e con gli Israeliani, singoli ed organizzazioni, che si oppongono coraggiosamente all’oltraggio alla giustizia ed alla civiltà perpetrato dallo Stato di Israele. Rete Ebrei Contro l’Occupazione

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Veterani israeliani parlano del servizio militare

Nostra traduzione da Ma’an News Agency 
Nel link l’articolo originale con i video delle interviste
Soldati israeliani scortano dei coloni nella città di Hebron, in West Bank (MaanImages/Eleonora Vio, File)

Betlemme (Ma’an) – Un gruppo di veterani israeliani che hanno prestato il servizio militare in West Bank e nella Striscia di Gaza hanno parlato apertamente di fronte alle telecamere della loro esperienza nell’esercito.

L’organizzazione israeliana “Breaking the Silence” ha raccolto le testimonianze di 800 veterani assegnati alla West Bank e a Gaza, rendendo pubblici i filmati di sei ex soldati che descrivevano la loro esperienza. Continue reading
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Israele utilizza l’indagine sull’omicidio di Jenin come pretesto per fermare e tormentare lo staf del Freedom Theatre

Nostra traduzione da Electronic Intifada
di Jillian Kestler-D’Amours* 
Dall’omicidio di Juliano Mer-Khamis, l’esercito israeliano continua a tormentare ed arrestare i membri e lo staff del Freedom Theatre. (Wagdi Eshtayah / APA images)

La figlia di Micaela Miranda, 2 anni, sta avendo gli incubi, due settimane dopo che suo padre è stato portato via dall’esercito israeliano nel bel mezzo della notte.

Ha visto suo padre venir portato via” dice Miranda “È molto difficile. È la seconda volta che lo rapiscono.

Il marito di Miranda, Nabil al-Raee, è il direttore artistico del famoso Freedom Theater, situato nel campo profughi di Jenin, nella West Bank settentrionale. Un gruppo di soldati israeliani armati lo ha arrestato a casa sua la mattina del 6 giugno.

Ad al-Raee, attualmente trattenuto nella prigione di Jalameh, nel nord di Israele, è stato negato il colloquio con un avvocato e con la sua famiglia. Secondo Miranda il suo arresto e la detenzione sembrano legati alle indagini sull’omicidio di Juliano Mer-Khamis, uno dei fondatori del Freedom Theatre ucciso nel 2011.

Per noi tutto questo è inaccettabile, perchè siamo già stati interrogati. Siamo andati di nostra iniziativa a parlare con la polizia. Non hanno alcuna prova, per cui si limitano a tenerlo in prigione.” Ha detto Miranda.

La vedo come una vessazione. Non so perchè le autorità israeliane lo stiano facendo: hanno avuto informazioni sbagliate dall’Autorità Palestinese? Oppure lo stanno facendo per motivi diversi? Per dare fastidio al teatro, per chiuderlo o per vedere qual’è la reazione della gente mentre Nabil è agli arresti?Continue reading
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Parlamentare israeliana: i gay hanno bisogno di cure: si suicidano a 40 anni.

Nostra traduzione da +972 Magazine

Il membro della Knesset Anastasia Michaeli (del partito Yisrael Beiteinu) c’è ricascata. Ricordate l’ultima volta, quando ha versato un bicchiere d’acqua in faccia a Ghaleb Majadele, parlamentare arabo del Partito laburista? Qui potete vedere il video.

Oggi era in una riunione di commissione alla Knesset, e durante la discussione si è cominciato a parlare degli omosessuali. Michaeli aveva qualcosa da dire (link in ebraico), come riportato da Ynet:

“Sfortunatamente vedo su Canale 10 dei programmi che mostrano quanto sia bello essere gay. Ed intervistano sua madre, su quanto sia triste, su quanto stia soffrendo, ha divorziato da suo marito e suo figlio è gay … Credo che la maggior parte dei gay abbiano subito delle molestie sessuali quando erano molto piccoli, e poi diventa peggio.
Con che diritto Canale 10 trasmette dei programmi simili? Un contenuto che rischiano di vedere anche i miei figli. Quanto è divertente truccarsi ed indossare delle gonne. C’è bisogno di cooperare con questi omosessuali, perchè sono infelici, questi omosessuali. Alla fine si suicidano quando arrivano ai 40 anni, e sono quegli stessi ragazzi che vogliono essere donne. Spero che si sollevi anche la nostra consapevolezza …  questa è una campagna che deve essere portata avanti con dei professionisti, anche con degli psicologi.

Cerco di immaginare cosa possa dire  su questo tema Michael Oren, ambasciatore, portavoce dell’esercito e pinkwasher di professione.

 

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